Evoluzione storica del Consorzio di bonifica Acque Risorgive

Istituzione del Consorzio

Il Consorzio di Bonifica Acque Risorgive, con sede in Venezia, è stato costituito con deliberazione della Giunta regionale del Veneto n. 1408 del 19 maggio 2009 a seguito della riorganizzazione delle strutture consortili prevista dalla Legge Regionale 8 maggio 2009 n. 12 recante “Nuove norme per la bonifica e la tutela del territorio”. Esso deriva dall’accorpamento dei preesistenti Consorzi di Bonifica di seguito indicati:

–  Consorzio di Bonifica Dese Sile di Mestre (VE);

–  Consorzio di Bonifica Sinistra Medio Brenta di Mirano (VE).

Lo Statuto del nuovo Consorzio è stato approvato con delibera dell’Assemblea n. 9/10 in data 10/05/2010 e dalla Giunta Regionale in data 22/06/2010, con obbligo di adottare formalmente alcune modifiche, recepite con la delibera dell’Assemblea n. 32/2010 in data 11.12.2010.

Il consorzio è un ente di diritto pubblico economico, ai sensi dell’art. 59 del regio decreto 13 febbraio 1933, n. 215 e dell’art. 3 della citata legge regionale 8 maggio 2009, n. 12.

Evoluzione storica

I primi consistenti interventi dell’uomo, nella X Regio Venetia et Histria, nel territorio oggi compreso tra le città di Padova, Venezia e Treviso si ebbero da parte di Roma, con le centuriazioni tracciate soprattutto all’epoca del primo imperatore romano Ottaviano Augusto, durante il primo secolo dopo Cristo, ma sono state rilevate evidenti tracce di precedenti centuriazioni realizzate anche ad opera delle popolazioni Paleovenete.

La rete viaria principale della X Regio Venetia et Histria

La centuriazione è un’opera di bonifica agraria e consiste nella suddivisione del territorio, solitamente delimitato da fiumi, monti o costa marittima, in grandi quadrati o rettangoli (Saltus), suddivisi a loro volta in quadrati (limites in centuriis) limitati da linee rette (rigores) equidistanti fra loro e parallele alle due  linee maestre, il decumano massimo (decumanus maximus) orientato solitamente da  est ad ovest e il cardine massimo (kardo maximus) in direzione nord-sud, intersecantesi ad angolo retto nel punto centrale della limitazione.

La centuriazione a sud-ovest dell’antico corso del Fiume Muson (Musonius flumen) denominata appunto “Cis Musonem” apparteneva al Municipium di Padova (Patavium) e come decumano massimo aveva l’attuale Via Desman che nel nome conserva il toponimo antico, mentre come cardine massimo aveva l’attuale Via del Santo coincidente con l’antica Via Aurelia dal nome del proconsole C. Aurelio Cotta.

La centuriazione a nord-est del Muson, corrispondente all’Agro Ovest del Municipium di Altino (Altinum) con il limite naturale ad est rappresentato dal Fiume Sile (Silis flumen), aveva come decumano massimo la direttrice dell’attuale Via Moglianese in prossimità di Scorzè, mentre come cardine massimo aveva la direttrice dell’attuale Via Spagnolo in località Moniego di Noale nel veneziano.

Il fiume Muson tra gli Agri di Padova a sud-ovest e Altino a nord-est

Nella centuriazione si teneva anche conto della pendenza del terreno, della disposizione geografica del territorio e del naturale deflusso dei fiumi, per evitare ristagni ed impaludimenti. Si tratta di una bonifica agraria vera e propria che si proponeva di ridurre a coltura una vasta zona mediante tutti i necessari lavori di sistemazione del terreno, quali il disboscamento, la regolamentazione delle acque (prosciugamenti, rettifiche, canalizzazioni), la lottizzazione.

Le linee di divisioni principali erano strade pubbliche denominate pioveghe durante il Medioevo e pubblici erano di conseguenza gli scoli laterali delle strade. Durante i secoli di abbandono seguiti alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente, molte strade sono scomparse ma il toponimo di “piovega” è rimasto per gli scoli che hanno mantenuto il carattere giuridico di bene pubblico (demaniale).

I fiumi più importanti erano quasi certamente arginati; i romani comunque saggiamente lasciavano un’ampia fascia “di rispetto” alberata in destra e sinistra idraulica in modo che il fiume in piena potesse ampliare la propria portata senza causare rovinose inondazioni alle colture circostanti.

Durante il Medioevo, a seguito del decadimento della rete stradale e fluviale costruita durante l’Impero Romano alla caduta del quale non ricevette alcuna manutenzione, era fondamentale per le città venete il controllo dei percorsi fluviali, insostituibili vie commerciali. Per questo motivo il fiume  Brenta (l’antico Medoacus flumen) fu il principale oggetto delle battaglie tra le città di Padova e di Venezia perché, a causa del delta del fiume, i territori sotto il controllo della Serenissima non erano ben definiti e accettati. A conferma di ciò, vi è la lunga contesa del delta e dell’Abbazia di Sant’Ilario da parte delle due città, con i Padovani impegnati nel tentativo di sottrarre entrambi all’influenza della Serenissima così da evitare di pagare le gabelle poste da Venezia alle foci del Brenta, con il presidio della Torre delle Bebbe oltre che per aggirare lo strapotere dei frati dell’Abbazia Sant’Ilario di Venezia.

Il presidio della Torre delle Bebbe

Abbazia Sant’Ilario di Venezia

Il presidio della Torre delle Bebbe

Abbazia Sant’Ilario di Venezia

I primi documenti che dimostrano l’interesse della Repubblica di Venezia per i problemi del controllo delle foci del fiume Brenta sono del 1299. Nel 1330 lo storico veneziano Alvise Cornaro definì il problema del governo delle acque del delta del Brenta (insalubrità, sedimentazioni, alluvioni) come “questa mala visìna” (questa cattiva vicina) che la Signoria doveva, secondo la sua opinione, “portarla un poco in là”.

Nel tempo i veneziani constatarono diverse modificazioni dei percorsi dei fiumi, dei rii, delle loro foci e dei canali della laguna.

Le preoccupazioni dei governanti della Serenissima furono tali che decisero di bloccare le acque di qualsiasi fiume che sfociasse dentro alla laguna facendo costruire un terrapieno parallelo alla terraferma con l’obiettivo di deviare le acque della foce della Brenta Vecchia di Fusina verso la laguna di Malamocco.

Foce del Brenta da Fusina verso la laguna di Malamocco

Quest’opera, decisa il 16 febbraio 1330 fu chiamata “la tajada” (la tagliata) e fu ultimata nel 1339. Il terrapieno venne chiamato “argine di intestadura”. Questo argine, fatto a circa 40 metri dal limite della laguna, fece confluire tutte le acque dei vari fiumi noti con i nomi di: Brenta Vecchia, Volpadego, Tergola, Clarino, Avesa, Laroncelo, Virgilio, Uxor (Lusore), Musone, Una, Bottenigo, Lenzina in un canale chiamato Brenta Resta d’Aglio. Il suo letto percorreva, partendo da Mestre, le attuali vie Brentavecchia, Cappuccina, Dante, Fratelli Bandiera, raccogliendo quindi tutte le acque che passavano per i Bottenighi, per farle sfociare a Malcontenta. L’inesperienza idraulica del tentativo provocò l’aumento della sedimentazione delle vecchie foci e un aumento della intestatura con la conseguenza di allagamenti nei territori di Oriago, Gambarare e Bottenighi. Alla fine, per dare sfogo alla pressione, fu aperto uno scarico verso la laguna sul canale Visigone. Quest’ultimo fu tombato e sostituito da condotte fognarie nel ventesimo secolo in concomitanza con la costruzione della zona industriale di Porto Marghera.

Tra il 1488 e il 1507 la Repubblica Serenissima effettuò una ulteriore diversione del fiume Brenta Vecchia. L’opera chiamata “Brentone” o “Brenta Nova”, che partiva dalle chiuse di Dolo si dirigeva verso Sambruson, Calcroci di Camponogara, Campagna Lupia, Bojon di Campolongo Maggiore, Corte di Piove di Sacco e proseguiva fino a Codevigo, portò ad esiti discutibili nei confronti dell’equilibrio idrografico del territorio. Di quello sforzo di irreggimentazione delle acque della Brenta Vecchia rimane ora soltanto l’argine sinistro, utilizzato da una  strada, vecchio percorso della SS16.

Nel 1605, dopo i fallimenti precedenti per governare le acque della “mala visìna” di Venezia, il Senato approvò, nel contesto delle decisioni assunte con la istituzione delle Prese del Brenta, un nuovo progetto di diversione della Brenta Vecchia, quello di Gianluigi Gallesi.

Il nuovo canale, chiamato Taglio Nuovissimo del Brenta, per distinguerlo dal vicino e contemporaneo Taglio Nuovo del Muson Vecchio, incanala le acque, ora come allora, della Brenta Vecchia da Mira Taglio in direzione di Porto Menai per proseguire in modo rettilineo, per circa 20 km, fino al Passo della Fogolana. Attualmente il canale transita vicino a Conche per sfociare in Laguna di Venezia in località Valli, quasi di fronte al porto di Chioggia. Invece nel 1610, come si può vedere dalla mappa dello storico Bernardino Zendrini, il tracciato continuava fino a sfociare a sud di Chioggia, nella zona della attuale foce della Brenta detta della “Cunetta”.

Taglio Novissimo del Fiume Brenta
Abbazia Sant’Ilario di Venezia
Taglio Novissimo del Fiume Brenta
Abbazia Sant’Ilario di Venezia

Dopo il completamento di quest’opera, inaugurata nel 1612, la Repubblica di Venezia definì i primi provvedimenti per la gestione pubblica delle valli della propria laguna. Per questo motivo lungo tutto l’argine di questo canale furono posizionati dal Magistrato alle Acque una sequenza di cippi segna confini per segnalare la cosiddetta conterminazione lagunare.

Nel XVI secolo a seguito dei lavori di chiusura e di deviazione delle foci dei fiumi in laguna tutti i territori dell’entroterra subirono disastrose alluvioni. Per rispondere alle proteste delle popolazioni il Senato Veneto con delibera del 23 giugno 1604, in previsione dell’esecuzione del Canale Taglio Nuovissimo, istituisce le “Sette Prese”.

Le “Prese del Brenta” erano dei consorzi pubblici obbligatori che dovevano coordinare le attività, le opere, e il deflusso di tutte le acque degli scoli delle campagne in un unico sistema idraulico. Le “Prese” sono state le antesignane dei moderni Consorzi di Bonifica. Per questo nella Regione del Veneto, gli attuali Consorzi si richiamano, nelle definizioni e nelle aree amministrate, alle vecchie “Prese”.

Le “Prese” associavano i proprietari dei beni rustici di un territorio che dovevano riunirsi per l’elezione di tre presidenti. La gestione delle “Prese” era fatta dai presidenti che si avvalevano di appositi funzionari ed esattori per accertare i beni ed incamerare gli oneri sulle proprietà fondiarie, chiamati “campatici”, da campo.

Nella definizione dei confini dei singoli bacini idraulici fu adottato il principio che le acque dovevano scolare, secondo i Savi delle Acque, nel canale Taglio Nuovo di Mirano del fiume Muson Vecchio e nel Taglio Novissimo del Brenta, anziché nell’alveo della vecchia Brentasecca.

Le “Prese” comprendevano:

  • la Prima Presa i terreni a nord ovest di Fusina, per una estensione di circa 4.400 campi con 1.400 proprietari;
  • la Seconda Presa i terreni di Mestre, Martellago, Spinea, Mirano, Salzano e Mira per una estensione di circa 23.000 campi;
  • la Terza Presa i terreni di Mirano, Camposampiero, Resana, Loreggia per una estensione di circa 25.000 campi.
  • la Quarta Presa i terreni da Loreggia fino al Carpené e Treville per una estensione di circa 3.000 campi
  • la Quinta Presa i terreni dei distretti di Mirano, Dolo, Camposampiero per una estensione di circa 46.500 campi.
  • la Sesta Presa i terreni di una parte del distretto di Dolo e tutto del distretto di Piove di Sacco per una estensione di circa 60.000 campi;
  •  la Settima Presa, divisa in Superiore (i terreni dei distretti di Campagna Lupia, Campolongo, Camponogara, parte di Dolo e di Mira a ovest del Nuovissimo) e Inferiore (parte del distretto di Campagna Lupia e quello di Codevigo tra il Nuovissimo e il Brenta) per un totale di 15.000 campi.

Anche l’equilibrio idraulico dei fiumi di risorgiva in particolare del Dese, Zero, Marzenego e Sile, ha sempre rappresentato oggetto di legislazione da parte della Serenissima sin dal XVI secolo con l’espansione degli interessi agricoli e commerciali della nobiltà veneziana in terraferma (L.Scroccaro, Tre Fiumi e un Fiumetto, Treviso 2004, pag. 18).

Scrive l’autrice E. Campos (“I consorzi di bonifica nella Repubblica Veneta” Padova 1937) “la necessità di associare i diversi proprietari tra loro, per accordarli sulle opere di bonifica da compiere; non solo per il loro interesse ma anche per quello pubblico della Signoria, fu nettamente sentito dai legislatori veneziani. Tali unioni furono denominate “Consorzi” (L.Scroccaro, Tre Fiumi e un Fiumetto, Treviso 2004, pag. 19).

Nel XVI secolo la Repubblica Veneta istituì un Consorzio Idraulico Dese per la manutenzione dei tre fiumi Marzenego, Dese, Zero e loro affluenti, tutti sfocianti nella laguna di Venezia.

Nel 1501 fu studiata una deviazione del fiume Dese a Marocco – successivamente abbandonata – ed ordinato l’escavo di un fossato lungo la strada che collegava Mestre ad Altino; nel 1502, veniva ordinato di scavare e ripulire i fossati lungo il Terraglio da Marocco a Mestre.

Successivamente (1510) furono eseguite altre opere, quali la deviazione del Marzenego in Laguna, il ripristino della “fossa Dossena” (1520), derivazioni d’acqua dal Sile nello Zero, dallo Zero in Dese, dal Dese ai molini di Mestre (1523).

La regolazione del Fiume Sile 1684

Anche nel territorio della bassa marca Trevigiana e della zona che si affaccia sulla laguna non mancarono casi di formazione di Consorzi di difesa.  In particolare quello sorto tra i proprietari delle terre rivierasche del fiume Zero.

I continui danni che questo fiume provocava soprattutto durante le piene e per l’uso indiscriminato che delle sue acque facevano i mugnai posti lungo il suo alto corso spinsero più volte i proprietari di questi terreni tra cui “ monasteri, hospitali, nobeli, cittadini e molti altri patroni de li fondi” a chiedere l’autorizzazione ai Savi Esecutori alle acque, a formare un Consorzio per scavare lo Zero. Era il 1589 quando arrivò il consenso alla sua costituzione. Tale decisione e i lavori che seguirono nei decenni, secondo alcuni autori, non risolsero i problemi idraulici creati dal fiume perché le piene e gli allagamenti continuarono periodicamente anche nei secoli successivi. La formazione del Consorzio, che resterà attivo fino alla caduta della Repubblica, non riuscì nei suoi scopi perché non si fermarono i contrasti tra i consorziati e i rappresentanti delle Podesterie di Mestre e Treviso sulle quote della spesa che dovevano versare gli aderenti. Molto spesso i lavori di scavo favorivano alcuni, soprattutto i proprietari dei mulini che detenevano la presidenza del consorzio, e danneggiavano altri in particolare gli abitanti  dei villaggi  che  dovevano  contribuire  alle  spese  senza  ricavarne  dei  vantaggi  anzi (L.Scroccaro, Tre Fiumi e un Fiumetto, Treviso 2004, pag. 19).

Una relazione del 1681 di Tommaso Fiorini intorno al fiume Zero fu redatta per commissione dei presidenti di quel Consorzio, i quali avevano intenzione di scavarlo.

Situazione analoga si ripeteva per gli altri fiumi di risorgiva per i quali si erano formati dei consorzi come il Consorzio Dese, Marzenego- Osellino (L.Scroccaro, Tre Fiumi e un Fiumetto, Treviso 2004, pag. 19).

Dopo la prima metà del settecento prese corpo un ennesimo progetto per risolvere gli endemici problemi di questi fiumi e ridurre le nefaste conseguenze che procuravano sulle campagne e sui villaggi che attraversavano. Era il 1748 quando il Magistrato alle acque affidò a Tomaso Scalfuroto il compito di controllare la situazione idraulica nella zona del Terraglio considerati i continui allagamenti dei fiumi che lo attraversavano e i danni che essi causavano alle campagne circostanti. Questi, dopo un’attenta analisi dei vari corsi d’acqua, invitò la magistratura veneziana ad intervenire su tutti i fiumi affrontando la spesa dei lavori con la formazione di un unico consorzio di proprietari. Ma non se ne fece nulla; e così per altre due volte i progetti rimasero sulla carta. Per arrivare ad una decisione da parte delle  autorità  occorre  giungere  al  1782,  quando  il  Magistrato affidò  al tecnico veneziano un ulteriore incarico di progetto che interessava i  territori da Castelfranco – Noale fino a Mestre – Torcello (L.Scroccaro, Tre Fiumi e un Fiumetto, Treviso 2004, pag. 19).

Lo studio dello Scalfuroto evidenziava come i danni degli allagamenti nella zona di Mestre e dei paesi posti lungo il Terraglio erano dovuti al fatto che i fiumi che la interessavano non fluivano nel Sile per cui, scendendo verso la laguna per la mancanza di pendenza, ristagnavano. I consorzi di questi fiumi che erano stati costituiti da tempo tra i proprietari dei terreni dell’area (il Consorzio Dese, il Consorzio Zero, il Consorzio Marzenego e il Consorzio Bigonzo e Serva) non solo non erano riusciti a risanare le strade e le campagne ma neppure a mantenere i risultati dei vari scavi che pure venivano effettuati lungo i corsi di questi fiumi. Scalfuroto considerato che “l’interdipendenza dei vari sistemi è strettissima”, riteneva che si doveva “formare un solo consorzio con un’unica direzione ed un unico piano di bonifica e di manutenzione”. Le spese per l’intervento sarebbero state a carico dello stato e in parte dei consorziati. Nelle sedute dell’11 e del 16 gennaio 1783 il Senato approvò la formazione del consorzio   del Terraglio e   della Castellana e l’imposizione della tassa. Un territorio che ricopriva una superficie di 77 mila campi (L.Scroccaro, Tre Fiumi e un Fiumetto, Treviso 2004, pag. 20).

Non tutti i proprietari dei terreni interessati ai progetti di scavo, come quelli dell’ex consorzio Bigonzo Serva, erano concordi nel pagare la tassa consortile in quanto dichiaravano che questi scoli scaricavano direttamente le loro acque nel Sile e non creavano problemi nell’attraversamento del Terraglio. Nonostante queste contestazioni, che in parte rallentarono l’inizio dei lavori, alcuni interventi vennero eseguiti. Il 17 maggio 1784  i presidenti del Consorzio  presentarono al   Magistrato alle acque, un resoconto di quanto fatto. Tali interventi erano costati 19000 ducati molti altri però ne servivano per completare l’opera di risanamento (L.Scroccaro, Tre Fiumi e un Fiumetto, Treviso 2004, pag. 19).

La caduta della Repubblica sembrò fermare la funzione dei consorzi e aggravò sicuramente anche la gestione delle acque della regione (L.Scroccaro, Tre Fiumi e un Fiumetto, Treviso 2004, pag. 19).

Numerose lapidi marmoree, murate nei molini ed in alcuni ponti, testimoniano che importanti lavori di riassetto idraulico dei corsi d’acqua principali Marzenego, Dese e Zero furono eseguite nel XVIII secolo, e resta pure accertato, come appare dai documenti di seguito citati, che anche nel secolo scorso il Consorzio era funzionante ed organizzato secondo la legge 20/4/1804.

Pietra Zorzi
Pietra Consorziale
Pietra Zorzi
Pietra Consorziale

Con la delibera del 23 giugno 1604 del Senato Veneto (Terminazione Veneta) la Serenissima, come sopra riportato, suddivise il territorio del Brenta in sette diverse prese. In relazione al comprensorio consortile, la Seconda, la Terza, la Quarta, la Quinta e la Settima Presa hanno mantenuto nei secoli la loro denominazione ed, in linea di massima, la loro importanza fino a tempi molto recenti.

La Terza e Quarta Presa sono le denominazioni dei preesistenti Consorzi Muson Vandura e Tergola Muson che esistevano già nel 1602 quali consorzi di difesa e scolo. Dalla fusione dei Consorzi di Miglioramento Fondiario Muson Vandura, Tergola Muson e Brenta Vecchia a Sinistra venne costituito il Consorzio Tergola Vandura riconosciuto di bonifica con D.P.R. 12 febbraio 1968.

Il Consorzio di Miglioramento Fondiario Quinta Presa, esistente prima della II Guerra Mondiale, venne riconosciuto di bonifica con D.P.R. 26 settembre 1968; con deliberazione del Consiglio Regionale n. 156 del 12 dicembre 1974 venne fuso con il Consorzio di Bonifica Seconda Presa nel Consorzio di Bonifica Seconda e Quinta Presa.

Il Consorzio di Bonifica Seconda Presa era già esistente nel 1804 ed operava quale Consorzio Idraulico nel 1900; con decreto ministeriale 14 dicembre 1923 venne approvato il nuovo Statuto del Consorzio di Scolo e di Bonifica Seconda Presa; con ulteriore decreto ministeriale 5 febbraio 1943 venne approvato lo Statuto del Consorzio di Bonifica Seconda Presa che tale restò fino alla fusione con il Quinta Presa.

Anche il Consorzio di Bonifica Settima Presa Superiore deriva dalla già citata Terminazione Veneta del 1604; secondo la normativa prevista dalla legge 20 marzo 1865, funzionò quale “Consorzio generale di Scolo” fino al 1890. In quell’anno “approfittando della legge 25 giugno 1882 n. 869 ed in forza del R.D. 2 luglio 1885 n. 3261 col quale vennero classificate in 1° categoria le opere di bonificazione dei terreni paludosi del Distretto di Dolo, il Consorzio chiese ed ottenne di poter funzionare quale Consorzio di Bonifica e con Reale Decreto di concessione 9 maggio 1889 n. 6150 pubblicato nella G.U. del 6 luglio 1889, a termini e per gli effetti della legge 4 luglio 1886 n. 3962 e coi benefici accordati da questa, fu concessa al Consorzio VII Presa Superiore la materiale esecuzione dell’opera di bonificazione di 1° categoria dei terreni paludosi del proprio comprensorio” (tratto da una relazione databile 1908-1909).

In parallelo operò anche il Consorzio di Bonifica Gambarare. Si tenga conto che ancora all’inizio del XX secolo la malaria regnava incontrastata negli acquitrini e nelle paludi. Solo a seguito della realizzazione delle opere di bonifica (idrovora di Dogaletto e scoli principali) questo territorio venne redento e reso utilizzabile per le attività umane.

Il Consorzio di Miglioramento Fondiario Tergola, costituito sotto la Repubblica Serenissima, venne riorganizzato dal Vice Re Eugenio Napoleone con Decreto 20 maggio 1806; la qualifica di Consorzio di Miglioramento Fondiario venne assunta con Decreto Ministeriale 15 gennaio 1940 n. 8558. Nel 1983 venne soppresso e fuso nel Consorzio di Bonifica Sinistra Medio Brenta.

Infine il Consorzio di Bonifica Sinistra Medio Brenta con sede in Mirano (VE) venne costituito con deliberazione della Giunta Regionale del Veneto n. 1228 del 7 marzo 1978 a seguito della riorganizzazione delle strutture consortili prevista dalla Legge Regionale 13 gennaio 1976 n. 3; esso derivava dalla fusione dei preesistenti Consorzi di Bonifica e di Miglioramento Fondiario di seguito indicati:

–  Consorzio di Bonifica Tergola Vandura di Camposampiero;

–  Consorzio di Bonifica Seconda e Quinta Presa di Mirano;

–  Consorzio di Bonifica Gambarare di Mira;

–  Consorzio di Bonifica Settima Presa di Dolo;

–  Consorzio di Miglioramento Fondiario Tergola di Padova.

Tornando alle vicende storiche che hanno interessato il Consorzio Idraulico Dese, costituito nel XVI secolo dalla Repubblica di Venezia per  la  manutenzione dei fiumi Marzenego, Dese, Zero e dei loro affluenti, sfocianti nella laguna Veneta, dopo l‘unificazione del Regno d‘Italia e con l’emanazione delle Leggi 20/3/1865, n. 2248 sulle opere pubbliche e 25/7/1904, n. 523 sulle opere idrauliche, con lo Statuto approvato dal Ministero dei Lavori Pubblici con Decreto 25/1/1906, n.  188, lo stesso ha assunto la figura di Consorzio idraulico di terza categoria, con la denominazione di “Consorzio Dese”.

Il Consorzio Dese pubblicò il suo regolamento disciplinare il 30 aprile 1842, il 14 ottobre 1847 si dotò dello Statuto organico di amministrazione e nel 1857 venne approvato un ulteriore regolamento disciplinare con decreto luogotenenziale (L.Scroccaro, Tre Fiumi e un Fiumetto, Treviso 2004, pag. 20).

Il Consorzio finanziava le sue opere con le tasse consorziali previste e calcolate sui valori delle terre che venivano determinati dalla formazione di periodici catasti. Altre entrate straordinarie erano dovute alle multe, alla vendita delle erbe degli argini e delle golene  (L.Scroccaro, Tre Fiumi e un Fiumetto, Treviso 2004, pag. 21).

Il Consorzio Idraulico Dese 1808-1922

Per la formazione dei catasti, come accadde nel 1822 quando il “ signor ingegnere Baccanello” produsse le mappe dei vari comuni e porzioni di comuni, i proprietari che non ritenevano corrette le misurazioni dovevano controllarne i dati a Venezia, nella sede del consorzio, ed eventualmente fare ricorso. Se il reclamo non era esatto, chi l’aveva sporto “doveva soggiacere a tutte le spese della visita, e dei nuovi rilievi”. Quando poi avvenivano i passaggi di proprietà, i nuovi acquirenti dovevano portare i loro dati catastali alla sede consortile e mettersi quanto prima in regola con le quote consorziali per non incorrere in multe. Questi inviti erano piuttosto frequenti e venivano diramati e pubblicati in tutti i “comuni e parrocchie comprese nella Consorziale periferia, letto dai parrochi nelle rispettive chiese in tempo di maggior concorso, nonché inserito per tre volte nella privilegiata Gazzetta, onde nessuno possa allegarne ignoranza”. Chi entro tre mesi dalla data dell’avviso non ottemperava incorreva nelle sanzioni. Nonostante ciò i proprietari non si preoccupavano molto di mettersi in regola, come ricordano alcuni avvisi che si ripetevano negli anni, segno evidente dello scarso ruolo del Consorzio nel territorio e della sfiducia sulle sue capacità d’intervento (L.Scroccaro, Tre Fiumi e un Fiumetto, Treviso 2004, pag. 21).

I terreni, a seconda della loro quota rispetto alla massima piena dei fiumi, erano suddivisi in tre classi; alti, medi e bassi e che abbisognavano di maggiore o minore scolo; e da ciò, oltre che dalla qualità dei terreni, dipendevano i contributi consorziali che gli utenti dovevano versare. Nei Consorzi di scolo generalmente i terreni bassi pagavano più dei medi e questi più degli alti per il loro diverso valore catastale ma anche per i differenti interventi di manutenzione. Lo scopo di questi consorzi era proprio quello di “ mantenere sempre operativi gli scoli” per impedire allagamenti delle campagne. Non sempre però era così, come annota il De Bosio, a proposito del Consorzio di Dese, perché le acque nella parte bassa non venivano smaltite per mancanza dei lavori necessari nella parte alta per cui quei consorziati non si sentivano in obbligo di pagare le cifre deliberate. Annota infatti il catasto austriaco per il comune censuario di Campalto che  “tutti i fondi sono soggetti al Consorzio del Dese, ma non vi è nessun vantaggio delle opere consorziali fatte a monte” (L.Scroccaro, Tre Fiumi e un Fiumetto, Treviso 2004, pag. 21).

Nel 1827 in un avviso a stampa, che come previsto dalle norme, veniva affisso in tutti i comuni di competenza, si informavano i consorziati che per quell’anno le tasse, in relazione ad un campo e alla tipologia dei terreni erano così definite: i terreni paludivi pagavano per campo trevigiano 11,0 centesimi, quelli paludivi e boschivi: 16,5; i prativi ed arativi alti: 33,0; gli arativi prativi bassi: 44,0; gli arativi medi: 55,0  (L.Scroccaro, Tre Fiumi e un Fiumetto, Treviso 2004, pag. 21).

In seguito al Testo Unico 30/12/1923, n. 3256 di Leggi sulla bonificazione delle terre paludose, il comprensorio consorziale fu riconosciuto di bonifica di 1a categoria, regolato dallo Statuto approvato dal Ministero dell’Agricoltura e Foreste con Decreto in data 22 ottobre 1929 n. 6827 ed assunse la denominazione di “Consorzio di Bonifica Dese Superiore”. Secondo tale Statuto il Consorzio era un unico Ente, ma il suo territorio era diviso in quattro bacini: Marzenego, Dese,  Zero e Zero Inferiore, a scolo meccanico.

I Consorzi Dese Superiore, Destra Sile Superiore, Destra Sile Inferiore, Dese Inferiore, Portegrandi-Ca’ Deriva 1923-1939
Venendo in epoca recente si ricorda che i primi impianti di prosciugamento furono costruiti da privati a tutte loro spese (impianto De Reali ad Altino ed impianti di Liomarin, Maraschere, Zuccarello e Portegrandi). Detti impianti furono successivamente ampliati, potenziati o sostituiti a cura del Consorzio di Bonifica, estendendo la superficie servita. Con R.D. 24/12/1942 il Consorzio  di Bonifica Dese Superiore venne fuso con i Consorzi Dese-Inferiore e Destra-Sile Inferiore in un unico Ente, denominato “Consorzio di Bonifica Dese”.

Bonifica e Idrovora Zuccarello

I Consorzi Dese Superiore, Dese Inferiore, Portegrandi-Ca’ Deriva, Cavallino 1940-1942
I Consorzi Dese e  Portegrandi-Ca’ Deriva 1943-1949
I Consorzi Dese Superiore, Dese Inferiore, Portegrandi-Ca’ Deriva, Cavallino 1940-1942
I Consorzi Dese e  Portegrandi-Ca’ Deriva 1943-1949
Con successivo decreto 23/8/1949, n. 1819 del Ministero dell’Agricoltura e Foreste il Consorzio di Bonifica Dese venne soppresso e vennero costituiti due nuovi Consorzi: il Consorzio di Bonifica Dese Sile Inferiore, per la bonifica dei terreni medi e bassi del comprensorio a scolo meccanico ed il Consorzio Dese Superiore per la bonifica dei terreni alti a scolo naturale comprendenti i Bacini Marzenego, Dese e Zero.

I Consorzi Dese Superiore, Destra Sile Superiore, Dese Inferiore, Portegrandi-Ca’ Deriva, Serva Bigonzo 1949-1955

 

Infine con Decreto P.R. 4/2/1955, n. 3192 al Consorzio fu aggregato  un altro bacino, il Serva-Bigonzo, avente la superficie di ettari 2.577.

Il Dese Sile Inferiore fu ampliato con DD.PP. 4 dicembre 1954, n. 3441 e 26 gennaio 1965, n. 500 includendo i terreni del fiume Sile ed il bacino Serva-Bigonzo (Dosson).

I Consorzi Dese Superiore, Dese Sile Superiore e Dese Sile Inferiore 1955-1975
Con provvedimento del Consiglio Regionale 20/11/1975, n. 40 – prot. 2370 – fu aggregato al Dese Superiore il Consorzio di Bonifica Destra Sile Superiore. Il Nuovo Ente assunse la denominazione di Dese Superiore e Destra Sile.
I Consorzi Dese Superiore e Destra Sile 1975-1980

L’attività del nuovo Consorzio iniziò il 31 marzo 1980 per effetto della notifica della deliberazione di Giunta Regionale n. 258 del 15 gennaio 1980 che, approvando lo Statuto, dichiarava la soppressione dei preesistenti consorzi di bonifica “Dese Superiore e Destra Sile” e “Dese Sile Inferiore”, trasferendo contestualmente al Consorzio di Bonifica DESE SILE il patrimonio, i diritti ed obbligazioni, le attività e passività dei preesistenti Consorzi.

Interno idrovora Zuccarello

Esterno idrovora Zuccarello

Interno idrovora Zuccarello

Esterno idrovora Zuccarello

Il Consorzio di bonifica Dese Sile 1980-2010

La L.R. n. 12 del 08/05/2009 e la Delibera di Giunta Regionale n. 1408 del 19/05/2009 hanno disposto l’accorpamento tra i Consorzi di Bonifica Dese Sile e Sinistra Medio Brenta in un unico Consorzio denominato Acque Risorgive con sede in Comune di Venezia in Via Rovereto n. 12, avente superficie territoriale totale di Ha 100.430,00.

Un riferimento ai collegamenti tra i territori dei due consorzi si trova in una relazione redatta nel 1827 dall’ingegnere Manocchi sullo stato del Consorzio Dese.

“Chiudendo la sua relazione, di fronte allo stato precario del territorio il Manocchi auspicava che il Consorzio tornasse all’antica consuetudine di scavare periodicamente i fiumi e ricordava come nel passato “l’escavazione del Marzenego, si facesse ogni quinto anno in cui li due Podestà Veneti di Mestre e di Noal nel mese di luglio, si concertavano assieme; nella prima settimana di agosto quello di Noal faceva divertir le acque dirigendole nel fiume detto Padovano ossia Muson di Mirano”. ….. Auspicava che così si facesse, come era avvenuto nel 1804 quando si procedette all’ultimo scavo dei tre fiumi e lui era uno dei dirigenti che sovrintesero l’operazione per conto del Consorzio delle acque che includevano le strade Terraglio e Castellana e del Consorzio inferiore al Terraglio. In quell’occasione l’acqua del Marzenego venne deviata nel Muson, quella del Dese nel Marzenego quella dello Zero nel Sile. Così si poterono calcolare le varie caratteristiche tecniche dei fiumi tra cui l’ampiezza del fondo, conoscere le scorrettezze dei mugnai nell’uso dell’acqua e riattivare il corso regolare dei fiumi. Manocchi riteneva questo modo “semplice, speditivo, ed economico” da praticarsi in un mese dell’anno in cui per vari  motivi  c’era  scarsità  d’acqua  e  si  rendevano  disponibili  lavoratori  della campagna di ambedue le rive dei fiumi” (L.Scroccaro, Tre Fiumi e un Fiumetto, Treviso 2004, pag. 24).